“Una volta il futuro era una promessa, oggi invece è paura e angoscia che blocca e intrappola nella ricerca esclusiva del presente.”
Umberto Galimberti, nato a Monza il 2 maggio 1942, è un filosofo, saggista e psicoanalista italiano. Esponente della psichiatria fenomenologica, oltre ad aver rivisitato e reinterpretato autori, momenti e aspetti del pensiero filosofico e della cultura in generale, il suo maggior contributo riguarda lo studio del pensiero simbolico inteso come la base più autentica della psiche umana. Un tema che gli è caro è quello del nichilismo tra i giovani di oggi; infatti, la tesi sviluppata del filosofo è relativa a quella condizione di disagio e disorientamento che è presente nell’anima dei giovani, i quali faticano a trovare e associare un vero senso alla vita. Secondo lui questo accade poiché vi è come un disagio culturale che tende ad offuscare, se non direttamente ad azzerare, i valori e le virtù dell’essere umano. Atteggiamento tipico, come dirà Galimberti stesso, della Generazione Z.
Chi è la Generazione Z?
Il termine Generazione Z si riferisce alla generazione dei nati tra il 1997 e il 2012, ossia quella fascia di età che va dai 12 ai 26 anni.
Ma cosa c’entra il nichilismo con questa generazione?
Non è difficile dare una risposta a questa domanda, poiché noi giovani dovremmo essere il futuro. Ma come possiamo essere il futuro se poi non riusciamo a dare un vero e proprio significato alla parola stessa? Questa è la tesi che affronta Galimberti. Quella del nichilismo dei giovani come dimensione della vita si coniuga irrimediabilmente con il vuoto di valori di una società che non riesce più a intercettare le esigenze giovanili e nemmeno a fornire uno sguardo volto al futuro. In questo modo i giovani riscontrano sempre più difficoltà a leggere emozioni vere, giacché si è in grado di percepirle, ma si ha soprattutto l’incapacità di dominarle perché non sanno dare loro un nome. Ormai si è persino incapaci di descrivere il proprio malessere esistenziale, di conseguenza i giovani si affannano in un presente caratterizzato da una desolazione comunicativa, dove la famiglia e la scuola non riescono più a configurarsi come certezze in questo oceano di confusione.
Quali sono le conseguenze?
“La demotivazione è il risultato più evidente e più diffuso: non vedendo il futuro manca la molla per muoversi” dirà Galimberti, pertanto ciò può provocare conseguenze tragiche, addirittura come il suicidio. Galimberti focalizza l’attenzione anche sul fatto che in Italia ogni anno si suicidano circa 400 studenti.
Ma chi non ricorre a questo gesto estremo che rimedi usa?
Agli occhi delle generazioni precedenti può sembrare assurdo, ma la verità è che adesso basta anche solo una serata in discoteca o fare uso di qualche droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione. Ma dopo? Una volta ritornati a casa le condizioni sono disastrose, poiché ci si rende conto che in realtà serve molto di più per sentirsi vivi e soprattutto per dare un vero senso o valore alle cose, e ciò crea un forte senso di vertigine, di paura o terrore, ed immediatamente ritorniamo in quella dimensione di puro smarrimento.
Chi dovrebbe prevenire ciò?
I luoghi in cui avviene la formazione e l’educazione sono la famiglia e la scuola, ma secondo Galimberti entrambe le istituzioni nella società attuale presentano delle lacune formative. Per quanto riguarda la famiglia, di solito a lavorare sono entrambi i genitori e questo comporta una sorta di disattenzione e di mancanza di tempo verso i bambini, che pensano di non fare nulla di interessante per guadagnarsi una porzione di tempo da parte dei loro genitori, considerazione che determina poi l’inizio dell’indebolimento della loro identità.
Come sottolinea Galimberti «l’identità non è che ce l’abbiamo perché siamo nati, l’identità nasce dal riconoscimento sociale, e quando si è bambini il riconoscimento sociale avviene nell’ambito famigliare».
E la scuola invece?
Galimberti è giunto alla conclusione che la scuola italiana istruisce, ma non educa: l’istruzione è un semplice passaggio di contenuti mentali da chi li possiede a chi li deve acquisire, mentre educare è una cosa completamente diversa, ben strutturata ed equivale innanzitutto a individuare da che tipo di intelligenza i vari studenti partono. Quella che la scuola tende a sviluppare è di tipo logico-matematico, non tenendo in considerazione il fatto che gli studenti hanno intelligenze diverse tra loro. Ciò che Galimberti propone, quasi come una cura, è un avvicinamento dei giovani alla politica, perché se non si interesseranno di politica o di formazione della società, andranno come incontro ad un enorme baratro, perché al loro posto subentreranno le grandi organizzazioni a stabilire come devono comportarsi, come devono stare al mondo e come relazionarsi.
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