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Giulia Pilato

SAN FRANCESCO: UN RIFLESSO DI UMILTA’ E SPIRITUALITA’

Profondamente ascetico, era conosciuto anche come "il poverello d'Assisi" per via della sua scelta di spogliarsi di ogni bene materiale e condurre una vita minimale, in totale armonia di spirito.

Sebbene sia conosciuto come forte esempio di umiltà, non tutti lo rappresentarono come tale; ad esempio è di facile comprensione come la visione di Dante e di Giotto riguardo questo stesso personaggio sia profondamente diversa.

La visione di Dante:

Il poeta, padre della nostra letteratura, legge la figura del Santo in chiave prettamente politica e sociale, come esempio da seguire per giungere al fine necessario: la riforma della Chiesa. Per cui, il poeta distingue nettamente leggenda e realtà e guarda solo a quest’ultima quando sceglie quali episodi della sua vita rappresentare.

Prendendo in esame l’XI canto del Paradiso, infatti, distinguiamo i tratti fondamentali di quanto già anticipato: simbolica indicazione del luogo geografico della nascita, episodi giovanili che ne prefigurano la santità, mistico matrimonio con la Povertà, fondazione dell’ordine francescano, ultimi momenti e morte del santo. Tra i vari aspetti tradizionalmente celebrati dal Santo, il poeta insiste in particolare sull’immagine del matrimonio tra Francesco e Madonna Povertà che rimanda al matrimonio tra Cristo e la Chiesa. A ripresa di ciò i versi 73-75 indicano San Francesco e “la donna” - rappresentata dalla Povertà - come degli amanti:


“ma perch’io non proceda troppo chiuso,

Francesco e Povertà per questi amanti

prendi oramai nel mio parlar diffuso…”


Nei versi 106-108 viene esposto l’estremo segno dell’approvazione divina che rappresenta il sigillo come promessa di Povertà fino alla fine dei suoi giorni, allorché il santo riceve le stimmate:


“nel crudo sasso intra Tevero e Arno

da Cristo prese l’ultimo sigillo,

che le sue membra due anni portarno…”


La visione di Giotto:


Al contrario, il farsi prossimo di Francesco ad ogni ente appartenente al creato è compreso nel realismo di Giotto; difatti il pittore ne vede i miracoli e la poeticità, ma ne propone una versione storica addomesticata, in linea con le necessità della Chiesa e dell’Ordine.

Prendendo in esame due dei magnifici affreschi che giganteggiano all’interno della basilica di San Francesco ad Assisi, si evincono le caratteristiche principali che differenziano la sua concezione del Santo rispetto a quella di Dante: San Francesco rinuncia ai beni terreni e San Francesco riceve le stimmate.


Per quanto riguarda il primo affresco , notiamo come Francesco, privo dei propri abiti, prega rivolto verso l’alto, mentre si rivolge a lui il Padre Supremo attraverso la mano benedicente che appare per sineddoche. Il padre lo porta dinnanzi al vescovo e gli intima di comportarsi in modo consono alla sua condizione dimenticando le sue folli idee di povertà, ma Francesco decide di rinunciare ai beni paterni. Il gesto del Vescovo che copre Francesco con il suo mantello è stato inteso sia come simbolo della Chiesa che accoglie Francesco, sia come segno di pudicizia.



Nel secondo invece viene ripreso l’argomento delle stimmate; qui San Francesco mentre è presso la Verna, entra in contatto mistico con Gesù Serafino che compie il miracolo dall’alto. In seguito all’apparizione di Cristo, in posizione speculare, sul corpo di Francesco compaiono le stimmate sulle mani, sui piedi e nel fianco destro, le stesse presenti nel corpo del figlio di Dio.


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