Questo 10 di febbraio ricorrerà il settantanovesimo anniversario di una delle più grandi ed inenarrabili tragedie che si siano mai consumate nel corso della storia della nostra Nazione: i tristemente noti massacri delle foibe, una serie di eccidi, di brutali assassinii perpetrati dai partigiani “comunisti” del maresciallo Josip Broz Tito nei confronti di numerosi civili, militari, ed in generale cittadini italiani residenti nei territori dell’allora Dalmazia, del Carnaro e della Venezia Giulia.
Quella del massacro delle foibe è una vicenda, un avvenimento storico che tutt’oggi costituisce un argomento di dibattito, di scontro verbale e politico molto acceso, che continua a dividere l’opinione pubblica nazionale: da un lato, troviamo coloro che - come giusto che sia – tengono a mantenere accesa la fiamma del ricordo, che vedono, in questi eccidi, qualcosa che non può essere ignorato né dimenticato, qualcosa che non dev’essere per nessun motivo classificato come una tragedia di “serie B”, una vergognosa memoria verso la quale non si può essere indifferenti.
Dall’altro, troviamo coloro che, vedendo nella resistenza e nella leggendaria lotta partigiana un baluardo di speranza e di democrazia – quindi, di fatto, di “libertà” -, faticano a riconoscere quella delle foibe come una tragedia; individui, questi, la cui coscienza viene accecata dal proprio inquietante fanatismo politico, un fanatismo che li porta ad assumere un certo carattere spaventosamente arrogante, che minimizzano l’importanza, il peso, di certi avvenimenti poiché non riescono ad accettare la veridicità non degli errori bensì degli orrori commessi dai propri “idoli”, se così possiamo definirli. Non riescono ad accettare la veridicità degli “orrori” commessi da quegli idoli che avrebbero lottato contro i mostri delle camere a gas e dei forni crematori per restituire “libertà” e “democrazia” al proprio popolo; individui che si scagliano con una certa violenza – a volte anche fisica - contro chi pensa che ricordare i morti di fronti opposti sia necessario; individui che, se non minimizzano, arrivano persino a negare oppure ad esaltare la stessa esecuzione di simili tragedie, sempre – per quanto detto prima - poiché accecati dal proprio fanatismo.
In tutto questo, possiamo considerare l’esistenza di un terzo punto di vista.
Riescono, infatti, a far udire la propria voce nel dibattito - con una certa eco, c’è da ammettere - anche coloro che di umanità ne sono sempre stati privi. Forse perché accecati anche loro dal proprio fanatismo, forse per qualche altro motivo, chi lo sa.
È così difficile da interpretare la mente umana.
Gente, sia da un lato che dall’altro, che strumentalizza drammi per interessi non tanto politici quanto ideologici; il tutto per gettare fango sull’avversario che, a sua volta, utilizza la stessa tattica strumentalizzando anch’esso orrori consumati che vedono come principali esecutori i punti di riferimento del suo “nemico”. Tutto ciò perché, oramai, in politica, si ragiona per schieramenti, con l’individuare “alleati” e “nemici”. Questo va riconosciuto. Basta solo guardarsi intorno.
Analizzando la realtà, viene piuttosto difficile prendere una posizione ben precisa se si considera soprattutto che, riguardo al tema, gli unici due fronti prevalenti e completamente opposti sono gli ultimi due citati, gruppi di individui ai quali la storia continua a non insegnare nulla e ai quali, essa, non è mai riuscita e non riesce nel suo intento di fungere da palestra di moralità, da palestra di vita, ridotta ad una rassegna, un’“evoluzione” all’insegna del ridicolo in cui, quasi ad ottant’anni di distanza, ciò che si presenta dinanzi ai suoi occhi non è altro che una lite interna ad un gruppo di veri e propri bambini prepotenti e viziati, che cercano di scaricare a tutti i costi la colpa ad uno del gruppo, possibilmente il più paffuto, sebbene tutti quanti loro abbiano rubato e mangiato di nascosto la marmellata.
La verità, è che, a settantanove anni di distanza, l’insegnamento morale che dobbiamo trarre è uno, fondamentale ed importantissimo sul piano etico: non esistono tragedie più o meno gravi, di “serie A” o di “serie B”; tutte le tragedie che riguardano l’eliminazione, la morte, di uno o più individui sono e rimangono tragedie, il cui peso, sulle nostre coscienze, si fa sempre e comunque sentire.
E possiamo anche considerare la presenza di un’altra verità, una verità molto più storica che pare più che evidente agli occhi di tutti, ma, che credo sia più che opportuno mettere in evidenza: in guerra non esistono “i buoni” o “i cattivi”. La guerra è l’inferno in terra, la guerra è macchina, una macchina capace di tramutare persino il più buono tra gli esseri umani nella più bruta bestia assetata di sangue, priva di coscienza.
A settantanove anni di distanza, è arrivato il momento di chiudere, una volta per tutte, un dibattito vergognosamente rimasto aperto da decenni, chiuderlo per sempre, prendendo una posizione sacrosanta e netta sul tema, mi auguro.
Ma, come ogni volta che succede, si rivelerà sicuramente un’illusione.
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