Quando si sente parlare di mafia, accade raramente che questa venga associata al mondo ecclesiastico. La visione del lungometraggio “Mafia e religione”, tenutosi l’1 marzo nella sede di via Turretta, ha certamente suscitato degli spunti di riflessioni in tutti i ragazzi, che non avevano mai associato questi mondi. Nonostante le associazioni mafiose vadano contro i più semplici comandamenti della dottrina cristiana, vi è un profondo collegamento tra le due realtà. Vi è mai capitato di vedere la statua di un santo inchinarsi davanti la casa di un mafioso? Accadde ai cittadini di Porto Empedocle nel 2014, quando il percorso originario della celebrazione di san Calogero, santo patrono della città, venne deviato per compiere tale blasfemia. Ciò che cerca la mafia nella religione è il senso di potere che si guadagna dal dipingersi pari, se non superiori alle figure religiose e alle cariche ecclesiastiche. La stessa Chiesa si espresse contro le organizzazioni mafiose in un periodo tardivo rispetto a quando sarebbe dovuto accadere, ammettendo la superiorità della mafia a Dio. Venne, infatti, lanciato un messaggio formale solo con la beatificazione di padre Pino Puglisi (ucciso dalla mafia), quando la Chiesa rifiutò dunque qualsiasi legame con la criminalità. Padre Pino Puglisi dedicò la sua vita a cercare di salvare il quartiere Brancaccio di Palermo, indirizzando i giovani verso la scuola; la chiave della salvezza dalla criminalità era infatti per il Padre l’istruzione. Il suo operato non cambiò di certo la mentalità delle persone di Brancaccio, testimoniano i suoi fratelli, ma è stato un esempio per i suoi colleghi. Egli mise in luce una realtà scomoda per la mafia che, dal momento che non guarda in faccia nessuno, né donne né sacerdoti né bambini, decise di ucciderlo. La mafia nasce nelle zone dimenticate dallo Stato e recluta coloro che vogliono una vita migliore, facendo false promesse e offrendo l’illusione di una protezione. La mafia faceva questo nel passato e continua a farlo oggi, espandendo i suoi contatti con la mafia nigeriana, che si occupa principalmente di affari con la droga, e che si è stabilita anche nel nostro territorio. Oggi la mafia continua ad esistere e se abbiamo l'impressione che non sia così è perché ci sono persone che hanno combattuto, e continuano a combattere, per la nostra libertà, affinché oggi le strade possano essere un posto più sicuro.
Non avendo vissuto negli anni '80, quando la mafia regnava, e le persone vivevano nel terrore e nell’omertà per salvaguardarsi, a volte ci sfugge quanto questa realtà sia radicata nel nostro territorio. Ci sono infatti uomini come il procuratore capo di Catanzaro, il dottor Nicola Gratteri, che vivono sotto scorta e assieme alle loro famiglie non possono muoversi liberamente. Questo fa riflettere su come sia possibile che nella nostra società i giusti, che vivono per difenderci dai criminali, siano costretti a rimanere nascosti nelle loro case, mentre i mafiosi, come Matteo Messina Denaro (solo recentemente arrestato), vivono indisturbati nelle loro città. Ciò che rende questa realtà ancora più triste è che lo Stato italiano, sebbene debba combattere l’associazione mafiosa, è il primo a “scendere a patti” con questa. La famosa trattativa stato-mafia degli anni '90 non si è mai conclusa, e assieme alla corruzione delle cariche pubbliche, continua ad esistere. Secondo il mio punto di vista, la mafia è una realtà con cui l’uomo è costretto a vivere per il resto della sua vita, dal momento che non è un fenomeno limitato all’Italia, ma è presente in tutto il resto del mondo. Questo non significa che dobbiamo smettere di protestare, o di denunciare, dal momento che non bisogna abbassare la guardia contro la peggiore organizzazione creata dall’uomo.
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