UNA CONDANNA GIUSTA E RAZIONALE O UNA PRATICA DISUMANA E INUTILE?
La pena di morte, o pena capitale, è una sanzione penale la cui esecuzione consiste nel togliere la vita al condannato. Nonostante sia una pratica molto antica, ancora oggi sono molti gli stati (in totale 58) che la attuano per “vendicare” il reato commesso. Ma giustiziare un uomo e condannarlo a morte è davvero giusto o non è una pena adatta? Uno dei primi pensieri contro la condanna a morte venne elaborato dall’illuminista Cesare Beccaria, che nel Settecento pubblicò il saggio “Dei delitti e delle pene”. Il noto giurista sostiene che la pena capitale sia inaccettabile dal momento che non solo gli uomini non hanno il diritto di uccidere i propri simili, ma anche perché si configura come una guerra né utile né necessaria della nazione contro un cittadino. Con la pena di morte, d’altronde, lo Stato, per punire un delitto, ne commette uno a sua volta: se è illegale uccidere un’altra persona, perché dovrebbe essere legale uccidere il criminale?
La pena di morte è una pratica inutile, crudele e disumana, che viola il diritto alla vita e nega una possibilità di riabilitazione al condannato.
L’inutilità della condanna capitale, testimoniata dal tasso dei reati nei paesi dov’è applicata non inferiore rispetto a quello degli stati dove non è attuata, è giustificabile dal fatto che non è l’intensità della pena ad aver maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione: è più difficile sopportare una pena poco dolorosa e lunga come la privazione della libertà e l’obbligo ai lavori forzati o ancora socialmente utili (a seconda del calibro della pena), che una dolorosissima, ma breve come la morte.
Tuttavia, in molti sostengono che la pena di morte sia giusta, sia dal punto di vista umanitario dal momento che assicura un “risarcimento morale” ai parenti delle vittime, che per l’economia e sicurezza del Paese: la pena di morte evita allo Stato le spese derivanti dal mantenimento improduttivo dei criminali condannati all’ergastolo.
D’altro canto, la pena al criminale può essere inflitta in tante altre maniere: i lavori forzati, oltre a punire l’imputato, garantiscono un guadagno monetario allo Stato. Va detto poi che la pena di morte non dà conforto ai famigliari della vittima: l’uccisione dell’assassino non riporta in vita la vittima e né cancella la sofferenza dei suoi famigliari. Per concludere la pena di morte è sintomo di una cultura di violenza, e lo Stato che la esegue dimostra la stessa prontezza nell’uso della ferocia e aggressività fisica.
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