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  • Stefania Perniciaro

La cattiveria è insita nella natura umana? 


Nel mondo oggi sembra che la cattiveria domini le persone, le spinga a compiere aggressioni, stupri, omicidi e violenze di ogni genere, come se fosse presente all’interno della natura umana un’indole inconscia che porti l’uomo a fare male agli altri spinto esclusivamente da puro egoismo. Si vive nella paura, nella paura dell’altro, l’altro che è come noi, uomo. Una condizione di scetticismo e sfiducia generale reciproca nella quale vige il motto ‘fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’ e dove si palesa l’egoismo sfrontato e l’assenza di empatia. Forse Hobbes aveva ragione: l’uomo è davvero ‘homini lupus’, un uomo che nasce senza quel sentimento di benevolenza nei confronti degli altri, mosso invece dalla volontà di crearsi un benessere personale. L’istinto di sopravvivenza è una caratteristica scientifica dell’essere umano, ma penso che ad oggi quella condizione primitiva ed essenziale sia sfociata e degenerata in egoismo, mettendo davanti l’individualità anche a discapito alla vita degli altri esseri umani. Noi tutti oggi ci chiediamo come e perché l’uomo sia arrivato e arrivi a uccidere gli altri soltanto per affermare il proprio potere. Questo avviene fin da tempi antichissimi, ma ancora oggi in un'epoca moderna e evoluta in cui i diritti quali il diritto alla vita dovrebbero essere ormai alla base dei nostri valori conquistati nel corso dei secoli ci si chiede ancora perché succedano cose del genere e se l’uomo nella sua natura sia veramente cattivo. Volendo analizzare per rispondere a questi quesiti, potremmo partire da come viene definito il male. Nel suo senso più ampio, male è tutto ciò che arreca un qualche tipo di danno, fisico, morale o psicologico che sia. Filosoficamente è un concetto molto discusso e viene analizzato come problema etico in quanto è inspiegabile la sua esistenza nell’ottica di un mondo razionalmente concepito. La soluzione di tale problema può prendere direzione teologica e religiosa, analizzando il concetto in riferimento alla perfezione di Dio contrapposta all’imperfezione dell’uomo, dotato di libero arbitrio e responsabile delle sue azioni, oppure focalizzare la questione in maniera prettamente ontologica. Queste due vie tuttavia sono, conciliabili e spesso si implicano a vicenda, Epicuro, per esempio, si interroga sull’origine del male e sul perché il divino non ne impedisca l’attuarsi. Nella filosofia epicurea il problema sta nel disinteresse degli dei nei confronti delle questioni umane e nella visione cristiana, come se Dio concedendo all’uomo il libero arbitrio, si togliesse la responsabilità delle azioni e delle rispettive conseguenze. David Hume, filosofo empirista, afferma l’impossibilità della provenienza del concetto di male da Dio e lasciaintendere che sia un costituente strutturale dell’uomo. Tuttavia Il filosofo che forse si è occupato più di tutti di questo concetto è Immanuel Kant, ne ‘La religione entro i limiti della semplice ragione’. Il problema del male è un problema etico, va ad incastrarsi nelle dinamiche della morale analizzate nella Critica della Ragion Pratica nella quale Kant considera l’uomo morale un uomo libero, la cui libertà è sia ragion d’essere morale sia conseguenza del suo agire rettamente; l’uomo per fare del bene deve agire in conformità ad una legge, universale e soggettiva, la legge, appunto, morale. Alla domanda «L’uomo è cattivo?» Kant risponde così: l’uomo è cattivo per natura significa solo che tale qualità viene riferita all’uomo, considerato nella sua specie: non nel senso che la cattiveria possa essere dedotta dal concetto della specie umana, ma nel senso che, secondo quel che di lui si sa per esperienza, l’uomo non può essere giudicato diversamente, o, in altre parole, che si può presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria in ogni uomo, anche nel migliore. Quindi il male è un atto libero, imputabile all’uomo e allo stesso tempo una tendenza innata che precede l’uso della libertà. La soluzione di Kant è contorta ma risolutiva e sta nel fatto che il movente universale dell’azione compiuta viene subordinato ad un movente particolare finalizzato alla felicità, il nostro arbitrio accoglie il rovesciamento dei due moventi e diviene atto proprio dell’uomo. Atto che genera una tendenza corruttiva dell’agire morale e che precede ogni azione malvagia che ne derivi ed è per questo definibile naturale e innata. Kant si ferma alla definizione di un processo che risulti coerente con la struttura dell’uomo e alza le mani di fronte al perché tale tendenza non possa essere soppressa e superata, in quanto secondo lui la cattiveria non può essere sradicata dall’uomo.

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