Negli ultimi mesi ci sono stati molti eventi che mi hanno fatto riflettere sull’essere donna in questo mondo e in questa società.
Essere donna vuol dire alzarsi tutti i giorni, camminare per strada da sola, non importa in quale orario, se sia di mattina, di pomeriggio o la sera tardi e avere paura che qualcuno possa farti del male; essere donna di questi tempi vuol dire non doversi fidare di nessuno perché quel qualcuno conosciuto da poco e dall’aspetto rassicurante potrebbe drogarti e sentirsi autorizzato a fare tutto quello che vuole del tuo corpo; essere donna nel ventunesimo secolo vuol dire stare bene attenti a chi si frequenta perché quello stesso ragazzo con cui avevi condiviso qualcosa, il giorno dopo potrebbe tradire la tua fiducia mandando dei tuoi video intimi nel gruppo del calcetto, solo per semplice “goliardia”.
Mi dispiace dire che ormai queste notizie, seppur cosi crude, così tristi, non mi fanno più effetto, sono ormai rassegnata all’idea che questi eventi non finiranno mai.
Ma qual è il motivo?
Per trovare la risposta più corretta e appropriata dobbiamo fare un’analisi precisa di ciò che accade in Italia e nel mondo ormai da decenni.
La nostra è una società certamente maschilista e patriarcale e per questo molto spesso avviene quel fenomeno definito SLUTSHAMMING per cui le donne si sentono in colpa sebbene vittime di determinati comportamenti o desideri sessuali, come, per esempio, quando di una ragazza abusata sessualmente ci si chiede “come era vestita”, insinuando che se la sia cercata.
Da qui nasce una paura a denunciare perché si teme il giudizio degli altri e molto spesso, queste donne non vengono credute, anzi considerate delle poco di buono.
Tutto ciò porta al victim blaming e quindi a dare la colpa alla vittima che viene abusata e non all’uomo che ne abusa.
In tutto questo i media non aiutano, anzi; ne è un esempio raccapricciante quello del caso Genovese, imprenditore napoletano fondatore di molte società, che ha drogato una ragazza di 18 anni, legata al letto e stuprata per diverse ore filmando anche l’accaduto.
Il giornale “24 ore” riporta il fatto definendo “l’uomo” come “un vulcano di idee e progetti che per il momento è stato spento”, poi però elimina la notizia e si scusa pubblicamente; altro esempio è dato da Vittorio Feltri che dà la colpa alla droga e non al ragazzo definendo la giovane donna ingenua e accusa i genitori di quest’ultima di non aver fatto un buon lavoro con l’educazione della figlia.
Altro esempio di SLUTSHAMMING è fornito dalle vittime di revenge porn, come nel caso della maestra di Torino che vede i suoi video intimi, mandati al compagno di cui si fidava, oggetto di condivisione su gruppi whastapp e telegram.
La stampa intervista un amico del ragazzo che dichiara “se mandi filmati osè devi mettere in conto il rischio che qualcuno li pubblichi” e continua dicendo “non posso tollerare che chi si occupa di mio figlio faccia determinate cose”, come se una maestra d’asilo non possa avere una vita sessuale.
Conseguenza di questi fatti è il licenziamento della donna che perde il lavoro per qualcosa di cui non ha colpa. I media alimentano quella che è “la rape culture” sbagliando il modo di impostare la notizia, mentre in questa maniera l’uomo viene quasi compatito.
Tutti questi comportamenti vengono giustificati da uomini, donne e giornali con la frase inglese “boys will be boys”. Gli ultimi fatti di cronaca non sono altro che la conseguenza storica di quello che accadeva un tempo con il delitto d’onore che giustificava l’omicidio di una donna in caso di adulterio per salvaguardare la reputazione famigliare.
Potrei continuare a elencare questo tipo di eventi, perché questi ultimi episodi di violenza non sono i primi e, purtroppo, nemmeno gli ultimi, ma mi auguro che un giorno le mie figlie, le mie nipoti potranno camminare per strada a qualsiasi ora del giorno e della notte con la testa alta, con lo sguardo fiero e con la consapevolezza che essere Donna è un grande onore.
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