COMBATTERE LA MAFIA CON UN SORRISO
E’ il 15 settembre 1993; Don Pino Puglisi, parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, sta rincasando nel suo appartamento in piazzale Anita Garibaldi quando viene ucciso brutalmente in un agguato mafioso, il giorno del suo 56esimo compleanno.
Ma perché Don Pino faceva così paura alla mafia?
Puglisi nato nell’anno 1937 in una famiglia umile e modesta, a soli 22 anni fu ordinato sacerdote dall’allora arcivescovo di Palermo, il cardinale Ruffini. Svolse servizio per molti anni in alcune comunità della provincia di Palermo, dove don Pino intraprese la sua missione di educazione alla legalità rivolta principalmente ai giovani. Dopo aver ricoperto diversi incarichi liturgici, il 29 settembre 1990 venne nominato parroco della Chiesa di S. Gaetano, a Brancaccio, quartiere natale dello stesso prete, situato alla periferia di Palermo, che costituì per molto tempo un vero e proprio “regno” della criminalità organizzata. In quegli anni, a Palermo, Cosa Nostra, sebbene soltanto 4 anni prima, nel 1986, fosse stata duramente colpita dal “famoso” maxiprocesso che decretò in primo grado un totale di circa 342 condanne, in Sicilia continuava ad amministrare saldamente i propri affari, dal traffico di stupefacenti e di armi al pizzo e agli appalti edilizi. Il mandamento di Brancaccio era gestito dai fratelli Graviano, i “fedelissimi” di Totò Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano, capi del sanguinoso clan dei Corleonesi, che a termine della seconda guerra di mafia, nel 1984, avevano definitivamente raggiunto gli alti vertici del comando di Cosa Nostra. Fu questo l’ambiente in cui Don Pino incominciò la sua lotta in nome della giustizia e dell’onestà attraverso l’evangelizzazione. Fondò il centro “Padre Nostro”, un luogo dove accogliere i giovani per toglierli dalla strada e strapparli dal giogo dalla mafia, spiegando loro che per essere rispettati non fosse necessario diventare dei mafiosi o dei criminali, ma piuttosto fare rispettare le proprie idee e i propri ideali. Puglisi si impegnò anche nell’educazione scolastica dei giovani di Brancaccio, promuovendo l’alfabetizzazione e la formazione di campi scuola, così come nella riqualificazione dell’intero quartiere, finanziando la costruzione di un centro sanitario, di una scuola media e perfino la sistemazione delle reti fognarie. Ma il suo operato non terminò qui: nelle sue omelie, infatti, Don Pino attaccava pubblicamente e senza timore i mafiosi denunciandone le attività illecite. Inoltre fu il primo sacerdote che, per le feste patronali, smise di accettare le donazioni provenienti dai clan mafiosi ed infine rifiutò uomini legati alle cosche come padrini di battesimo. Con le sue parole e i suoi gesti, Don Pino Puglisi, soprannominato “u parrinu chi cavusi”, per la sua abitudine di girare per le strade di Brancaccio senza l’abito talare, attirò le antipatie dei Graviano che ne ordinarono l’uccisione, schierando un vero e proprio commando armato specializzato in omicidi e altri reati, il cosiddetto “gruppo di fuoco di Brancaccio”, al quale per l’appunto era legato il killer del sacerdote, Salvatore Grigoli, detto “u cacciaturi”, poi pentito. Egli stesso, confessando di aver ucciso Don Pino inscenando una finta rapina, con la complicità di Gaspare Spatuzza, anch’egli mafioso, dichiarò che Don Pino, voltandosi, sorrise ai suoi carnefici dicendo: “me lo aspettavo”. Il 25 maggio 2013 Papa Francesco proclama don Pino Puglisi “beato” e riconosce la sua uccisione come “martirium in odium fidei”. Ricordandolo, dichiarava: “Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto, li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo, uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo Risorto”. Anche ai giorni nostri abbiamo esempi di sacerdoti impegnati alla lotta contro la criminalità: è recente la notizia di don Antonio Coluccia, sacerdote del quartiere romano di Tor Bella Monaca, impegnato da anni nella lotta contro la criminalità organizzata e lo spaccio di droga, scampato ad un attentato durante una marcia della legalità. La battaglia di Don Pino dunque rimane qualcosa di assolutamente attualizzabile e che pertanto ci riguarda più di quanto noi pensiamo. E’ importante allora che i giovani conoscano la storia di Don Pino Puglisi, affinchè il suo impegno e la sua lotta non cada nell’oblìo, ma continui ad animare il cuore di tutti i siciliani onesti. Una frase di Falcone sentenziava: “Se la gioventù gli negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”; Ecco, penso che non ci sia storia più esemplificativa di questa, per dimostrare come le parole di un umile e sorridente prete possano intimorire un boss più di qualsiasi altra arma, quando si ha il coraggio di andare controcorrente contrapponendo alla mentalità mafiosa, purtroppo ancora imperante, esempi di vita onesta e all’ insegna della giustizia.
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