E' l’intera Russia a pagare il prezzo delle azioni di Putin?
Recentemente un professore dell’università Bicocca di Milano ha usato i social per denunciare una vicenda che sa proprio di “cancel culture”. Infatti l’Università Bicocca avrebbe sospeso, tramite una mail, i seminari di Paolo Nori riguardanti il celebre autore russo Fedor Dostoevskij; lezioni sospese per via delle sanguinose vicende riguardanti il conflitto Russia-Ucraina. Anche se solo poco dopo è pervenuta una rettifica da parte della Bicocca, con la precisazione che si trattava solo di un malinteso, possiamo davvero
definire legittimo attribuire anche alla cultura russa delle colpe in quanto cultura? E quanta colpa può avere un autore russo che non è più in vita da tempo? Davvero la cancel culture può essere arbitrariamente applicata in tale contesto? L’Europa, che dovrebbe essere la culla della democrazia, così afferma ben altro; servendosi della censura, infatti, si appresta a cristallizzare ognuno di noi all’interno di un unico pensiero rischiando in questo modo di precipitare in una pericolosa deriva antidemocratica.
Ma la cancel culture non si ferma qui: giungono notizie riguardanti la cancellazione di manifestazioni culturali proprie di questo popolo all’interno di altri Paesi: ad esempio, dalla Grecia giunge notizia che è stato cancellato lo spettacolo di fama mondiale "Il Lago dei cigni” solo perché realizzato da un autore russo; ancora un altro esempio di censura, stavolta ideologica, riguarda il celebre direttore d’orchestra Gargiov, al quale è stato impedito di dirigere la “Dama di picche” con il ricatto “Condanni Putin o niente Scala”. Ognuna di queste censure non punisce un’azione bestiale e sanguinaria, ma lede, ogni giorno di più, ogni senso di libertà culturale di questo popolo in ogni ambito, sia nell’arte che nella letteratura. Condannare uno dei più celebri autori russi alla “damnatio memoriae” non è rimanere vicini ad un popolo che sta soffrendo, ma è solo un esempio lampante di atteggiamento antidemocratico. Il popolo ucraino combatte per il desiderio di sentirsi libero in un’Europa libera, noi invece proprio tale libertà non facciamo altro che cancellarla. Queste notizie si aggiungono al complesso clima che viviamo in questi giorni, dove ogni luogo digitale ci rammenta, di ora in ora, le conseguenze che questa vicenda sta avendo anche in ambito culturale; conseguenze ben visibili presso quei Russi ritenuti colpevoli in quanto tali. Si parla di artisti che quest’anno non se la sono sentita di rappresentare il proprio Paese all’interno di importanti competizioni sportive. Proprio questi rappresentano il perfetto esempio di malessere ideologico causato da un pensiero unico. Le testate giornalistiche si apprestano in ogni titolo a scrivere in grassetto “La Russia” prima di parlare delle novità in campo bellico. Identificare l’azione di Putin con l’intero popolo russo non è altro che fomentare la critica e favorire la cristallizzazione del pensiero impedendo di soffermarsi su quanti cittadini russi hanno combattuto e si sono fatti arrestare durante le manifestazioni proprio perché contrari alle scelte politico-militari di Putin.
Giornali e giornalisti si apprestano, talvolta, a “formare i fatti” invece che “informare sui fatti”, ricercando le colpe in quello che non è un contesto oggettivo, utilizzando parole che sanno di “missili ideologici”, le cui conseguenze sono e saranno incalcolabili.
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