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NON C’È FESTA SENZA DIRITTI

“Ero molto giovane tredici anni fa e, un po’ velleitario, pretendevo di venire in televisione a raccontare che gli operai precipitando dall’impalcatura 16 metri o 15, arrivati al suolo si sfracellano […] e non è vero perché, se vogliono, gli operai, arrivati a due o tre metri dal suolo, allargano le braccia e prendono quota, svolazzano qua e là e ritornano al cantiere […]” diceva Dario Fo in una puntata di Tribuna Elettorale del 1975.

Inutile osservare come, a distanza di quarantasei anni, queste parole che all’epoca – a maggior ragione perché pronunciate da Dario Fo – suscitarono scandalo, rispecchino quella che è la realtà dei lavoratori e delle lavoratrici nel 2021.

Abbiamo iniziato questo nuovo anno “pieno di speranze” o “della ripresa” con ben 104 morti sul lavoro – a marzo – pari ad una media di 50 decessi al mese.

Abbiamo chiuso invece il 2020 con un totale di ben 1.270 morti sul lavoro di cui un terzo per Covid.

Numeri che rappresentano non macchine, incapaci di intendere e di volere ma vite umane, troppe vite umane.

Covid o no, abbiamo il dovere di pensare alle condizioni in cui lavorano centinaia di migliaia di persone in questo Paese e che non possono che essere definite disumane.

C’è rabbia fra i lavoratori, c’è agitazione. C’è malcontento fra i lavoratori, c’è delusione. Sono agitati e si sentono esclusi. Chi non li capisce! C’è chi non può arrivare alla fine del mese con una famiglia da sfamare, chi viene messo a lavorare dal proprio dirigente ad un macchinario senza che abbia le protezioni adeguate e chi si spacca la schiena 24 ore su 24 per poi essere sottopagato.

E’ inaccettabile che nel 2021 dobbiamo assistere a scene come quella di un lavoratore che viene licenziato dalla propria azienda solo per aver pubblicato su Facebook un post dove denuncia gli effetti inquinanti prodotti da ciò che quella azienda emette, così come è inaccettabile assistere ai licenziamenti di tutti quegli operai, giovani o non ancora alla soglie della pensione, della Whirlpool di Napoli.

Le loro voci non vengono ascoltate, né dai “padroni” né dai politici.

E la cosa più nauseante è che c’è chi osa pure prendersi gioco di loro e delle loro famiglie promettendo l’impossibile e mostrando i muscoli quando non saprebbe neanche assumersi la responsabilità di amministrare un condominio: sia a destra che a sinistra assistiamo quotidianamente a vere e proprie illusorie promesse fatte alla classe operaia da parte di individui che, una volta messi al governo, saprebbero solo twittare continuamente repliche a critiche fatte da avversari o a tutto ciò che offende il loro orgoglio. Per caso sentiamo più parlare di politici che si recano nelle industrie, nelle fabbriche o in quei posti in cui i lavoratori lavorano dignitosamente per stargli vicino e agire in concretezza per venire incontro ai loro problemi?

Vogliamo parlare di tutti quelli che hanno perso e stanno perdendo il lavoro a causa del lockdown abbandonati dallo Stato?

Ahimè, la grande responsabilità di certi individui che continuano a godersi la propria vita in questo momento come se niente fosse rende più difficile la vita per tutti quei ristoratori, parrucchieri e gestori di grandi e piccole attività.

L’Art. 1 della nostra Costituzione spiega molto chiaramente che l’Italia è “una repubblica democratica fondata sul lavoro”.

E allora dov’è il lavoro? Di quali diritti stiamo parlando?

Dal momento che noi giovani, protagonisti dell’avvenire, saremo i futuri lavoratori di un domani, inviterei ciascuno di noi a rifletterci su.

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