Pomeriggio di commemorazioni a Trapani nel ricordo del giudice Ciaccio Montalto, ucciso 40 anni fa dalla mafia per le sue indagini sugli affari del clan dei Minore e dei corleonesi, ma anche dal silenzio in cui il suo corpo fu lasciato per ore la notte dell’omicidio. Il nostro Giornalino d’Istituto, insieme alla Radio FX è stato presente a due celebrazioni e vi offre ora, oltre a un racconto degli eventi, anche un resoconto delle domande che abbiamo posto e delle relative risposte.
Primo incontro alla Casa Montalto, dove il giudice visse dal 1973 al 1983 con la famiglia, tranne per un breve periodo antecedente all’assassinio, alla presenza di un nutrito gruppo di Giudici e Pubblici Ministeri e in collegamento con Marene Montalto, figlia del giudice ucciso. Vari i punti toccati a partire dalla commovente testimonianza di Marene, che rispondendo ai giudici presenti, ai giornalisti e al referente di “Libera”, Salvatore Inguì, ammette con amarezza quanto la memoria di suo padre sia mal conservata e quanta diffidenza avvolga la sua figura. Fra la rabbia per l’essere contattata solo il 25 gennaio e la contentezza invece per l’essere stata invitata ad un evento informale, intimo e dunque più profondo, Marene alla domanda se qualcosa sia davvero cambiato in questi anni risponde di no, a suo avviso no. Anche a Parma, città nella quale vive, suo padre e altri giudici uccisi sono meno ricordati che in Sicilia; per questo le abbiamo chiesto quale fosse, a suo parere, il mezzo per far comprendere la rilevanza di tale memoria e come accendere l’opinione pubblica. La signora Montalto ci spiega come l’opinione pubblica sia accesa solo da fatti clamorosi e circoscritti, ma come sia necessario approfondire, ampliare e coinvolgere tutti per comunicare efficacemente un messaggio. Una nota di positività c’è: Marene avverte la voglia di ricordare di Trapani e quest’anno sente che l’atmosfera appare cambiata. La discussione è continuata con uno scambio di opinioni fra i giudici, focalizzato su come la figura di Montalto, dopo la morte, sia stata oggetto di vergognose speculazioni e attacchi che lo volevano da vittima a collaboratore, su quanto sia necessario per la magistratura riacquistare forte contatto con la società e il mondo civile, riuscendo anche a dare un’immagine veritiera della magistratura, di quella esterna a correnti e scandali, di quella che ogni giorno lavora umilmente e instancabilmente. Da qui la riflessione su quanto sia da apprezzare il lungo lavoro che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro. Questa l’immagine dell’incontro: un evento intimo e privo di retorica, un gruppo di giudici umili, in abiti civili e comuni, pronti a lavorare e impegnarsi. Due i messaggi forti: superare tutti insieme la linea rossa che Ciaccio Montalto aveva superato da solo e costruire un’immagine di cultura, di legalità non sviluppata solo sulla base di martiri o figure tragiche che hanno sacrificato la loro vita, ma anche su un mondo di persone che ogni giorno perseguono la legalità in modo normale e quotidiano. Coinvolgere, non spaventare né idolatrare, lavorare insieme con e per lo Stato. Concordi tutti, con Inguì che aggiunge quanto sia importante fare cultura di legalità non solo dove si ottiene un riscontro, ma anche in quei luoghi, quartieri, situazioni nelle quali il confronto è più difficile.
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Alle 17:30 Convegno “Parliamone di Mafia” alla Sala Sodano di Palazzo D’Alì, alla presenza del sindaco Tranchida, del vescovo di Trapani, delle autorità cittadine e di una nutrita platea di civili. Ospiti i magistrati Caruso e Corleo, Salvatore Inguì, Marene Montalto nuovamente collegata in videochiamata, Andrea Sodano, figlio del prefetto Sodano, Liliana Riccobene, vedova di Giuseppe Montalto, agente della Penitenziaria ucciso per volere di Matteo Messina Denaro. Mediatori del Convegno Gioele Tallarita, ex rappresentante del Fardella-Ximenes, Jacopo Triscari, presidente della Consulta Provinciale Studentesca, e Antonino Occhipinti, rappresentante del Rosina Salvo. Il convegno ha affrontato vari temi, dall’assassinio di Montalto alla recente cattura del superlatitante Messina Denaro, con il sindaco che ha ricordato con vergogna il silenzio e l’omertà di Valderice la notte dell’omicidio. Marene Montalto conferma le difficoltà già espresse che la memoria di suo padre affronta e si dice desiderosa di poter ottenere da Messina Denaro la verità sull’omicidio di suo padre. Proseguono le domande ai due magistrati, concordi sulla volontà di affermare il ruolo principale dello Stato. Carico di passione l’intervento del Dott. Corleo, che vede come uniche alternative fra cui scegliere la mafia e lo Stato. Concorde il Dott. Caruso, che conferma la necessità di fare una scelta di campo e come lo Stato possa riacquistare fiducia grazie a serietà e determinazione. La fiducia nello Stato è infatti un filo conduttore fra i due eventi, con le dichiarazioni del dott. Corleo che condanna e invita a condannare i funzionari infedeli e traditori dello Stato che hanno ammorbato e reso invivibile il Sud, ma non lo Stato, che non va mai delegittimato aggiungendo come non siano da incoraggiare le tendenze speculative sull’arresto di MMD e che, pur esistendo numerosi precedenti di devianza nelle istituzioni e ammettendo la possibilità di altri retroscena, non si debba delegittimare lo Stato senza prove. In questo senso anche l’intervento conclusivo di Inguì, che ha efficacemente insistito sul bisogno di eliminare con uno Stato giusto la mafiosità, ovvero quell’insieme di condizioni sociali, culturali e politiche ben peggiori e più radicate della mafia stessa. Abbiamo concentrato le nostre domande su due fronti, da un lato chiedendo se la magistratura sia pronta ad affrontare una mafia nuova e dall’altro quanto è radicato il rapporto di mafiosità nel territorio tra politica, massoneria e mafia. A risponderci il Dott. Caruso che ci conferma come la magistratura sia pronta ad affrontare una mafia in realtà tornata al suo fondamento, quello di controllare economia e soldi, tendenze già perseguite da Montalto e Falcone, e non di uccidere. Inoltre spiega come Trapani sia l’unico tribunale, insieme a quello di Santa Maria Capua Vetere, con competenze in Misure di Prevenzione, ovvero misure di esproprio e confisca di patrimoni e beni mafiosi. Riguardo alla nostra seconda domanda, si conferma che il rapporto già accennato esiste ed è stato influente, ma è in corso un vasto processo contro logge massoniche e apparati deviati di politica e economia. Forte l’intervento di Andrea Sodano che, fra le altre cose, ha finalmente detto in libertà che a rimuovere suo padre da Trapani, prefetto amatissimo che andava fiero del suo soprannome di “Prefetto del Popolo” e attivissimo contro la mafia, fu nientemeno che il senatore d’Alì, figura di enorme influenza politica a Trapani fino a qualche tempo fa e recentemente condannato definitivamente a 6 anni per mafia. Alla dichiarazione è seguito un minuto di scroscianti applausi. Preziosa anche l’intima e personale testimonianza di Liliana Riccobene.
Il resoconto della giornata del 25 ci dà l’immagine di una Trapani che, nonostante le difficoltà ancora presenti, vuole rilanciarsi in un mondo di legalità, con una società civile e una magistratura che ogni giorno cercano di scrollarsi dall’oppressione mafiosa e unirsi in una collettività nuova, anche se il percorso appare purtroppo ancora lungo.
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