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Mario Piazza

FRATEL BIAGIO CONTE

L’Angelo dei poveri di Palermo



La giornata del 12 Gennaio 2023 è iniziata con un cielo uggioso e piovigginoso. Eh sì! Anche il cielo in Sicilia sembra aver pianto la dipartita dell’indimenticabile figura di fratel Biagio Conte, un missionario laico palermitano che con la sua vita spesa al servizio degli ultimi e degli emarginati ci ha lasciato un grande insegnamento, ossia come l’amore verso il prossimo sia l’unico mezzo per la realizzazione di un mondo di pace e di solidarietà. Si è spento all’età di soli 59 anni, dopo aver combattuto con un brutto male che ha stroncato troppo precocemente un’esistenza votata all’ umiltà, alla carità e all’evangelizzazione tanto da fargli acquistare il soprannome di “San Francesco di Palermo” e di “Angelo dei poveri”. Tutta la sua vita ha profumato di santità fin dalla sua adolescenza. Nato il 16 settembre del 1963 in una famiglia palermitana di benestanti imprenditori edili, trascorre la sua giovinezza tra gli agi e i divertimenti, seguendo, come tanti altri ragazzi della sua età, le mode del momento di una società consumistica dove “apparire” è più importante che “essere”. Ma all’età di 20 anni piomba in una profonda crisi esistenziale, motivata dalla convinzione dell’inutilità della propria vita mondana basata sulla smania di possesso e consumo di beni materiali, sul senso di vuoto dovuto alla mancanza di veri valori. Tale crisi è poi amplificata dalla realtà dalla Palermo degli anni ’80 martoriata dalla mafia, omertosa, segnata dalla povertà, dall’indigenza dei più sfortunati e dall’indifferenza imperante di fronte alle richieste di aiuto dei più bisognosi. Agli amici che consigliavano ai suoi genitori di curarlo perché depresso rispondeva: “Curate questa società malata e guarirò anch’io!”. Così, a 26 anni, come protesta nei confronti di una società sorda, decide di lasciare tutto: la famiglia, la propria casa, le comodità. In occasione di un’intervista rilasciata nel 2019, fratel Biagio aveva affermato: “Non volevo più essere responsabile di questa società egoista ed indifferente. Quando ho visto che il divario tra chi ha troppo e chi nulla era così grande, ho detto: basta!”. E vagabondando come eremita, per le montagne dell’entroterra siciliano, riscopre il senso profondo di vera libertà e di vera pace interiore che il vivere solo di ciò che era necessario in pieno contatto con la natura procurava al suo animo. Provvidenziale fu, poi, l’incontro con un pastore del luogo che gli affidò il proprio gregge da pascolare in cambio di qualcosa da mangiare. Proprio grazie alle lunghe giornate trascorse a badare alle pecore, immerso nella solitudine e nel silenzio della natura, in compagnia soltanto di un cane e del libro di Hermann Hesse sulla vita di San Francesco, Biagio comincia a scoprire la presenza di Dio e ad iniziare un percorso di conversione, lasciandosi ispirare dall’esempio di S. Francesco, a cui si sente molto vicino per le motivazioni che lo hanno portato ad una vita umile spesa al servizio di Dio e del prossimo. Intraprende così un pellegrinaggio a piedi fino ad Assisi per pregare presso la tomba del Santo vestito di un umile saio di tela, di semplici calzari ai piedi e di un bastone da pellegrino, perché, come lui affermava, “siamo tutti in cammino”. Matura in lui il desiderio di fare il missionario in Africa, ma il Buon Dio lo riporta nella sua Palermo, dove si dedica all’assistenza di quella umanità dolente di barboni, senza tetto, alcolisti, che occupano la Stazione Centrale di Palermo. Non si limita solo ad offrire loro assistenza ma vive con loro povero tra i poveri, mendica per loro un pasto caldo e per loro affronta numerose battaglie, attraverso scioperi della fame, per sensibilizzare le istituzioni palermitane a garantire dei locali dove poterli accogliere per migliorarne le condizioni di vita. Riesce così ad ottenere nel 1993 gli spazi dell’ex disinfettatoio di via Archirafi, dando vita alla “Missione di Speranza e Carità” che accoglie da 30 anni vagabondi, prostitute, ragazze madri, ex-detenuti ed immigrati che, grazie alla collaborazione di numerosi volontari, vengono aiutati, oltre che materialmente, anche a reinserirsi nella società. Da questa prima comunità sono sorte altre strutture sia a Palermo che in provincia e, oltre a ciò, anche dei campi di lavoro per la produzione di olio e la coltivazione di ortaggi al fine di favorire il reintegro degli emarginati. Di fronte all’incommensurabile carità e alla profonda fede di questo nostro fratello, si rimane attoniti e immensamente grati per l’esempio di autentica cristianità che Biagio ha dato in vita alla generazione presente e direi anche futura, a maggior ragione in un mondo quale quello di oggi dove ciascuno, preso dalla frenesia della vita di tutti i giorni, si dimentica di guardare chi gli sta vicino e chi incrocia il suo cammino, con la giusta attenzione e con acuta sensibilità verso i bisogni materiali e non. “Un Santo moderno”, “un piccolo ma grande servo di Dio” definirei fratel Biagio, che ci invita a riflettere sulla responsabilità che ognuno di noi ha nel cambiare in meglio il mondo, ciascuno nel proprio piccolo, “compiendo”, come lui diceva, “la missione che Dio ci ha affidato individualmente, impegnandoci nel dare il proprio contributo per abbattere le barriere, le diversità e le disuguaglianze”. Quindi, vorrei rivolgermi soprattutto ai giovani miei coetanei, che fratel Biagio aveva particolarmente a cuore, a non perdersi nei vizi e nei falsi abbagli del mondo, ma a guardare al vero senso del nostro esistere ossia a quella “missionarietà”, a cui tutti siamo chiamati, di rendere più giusta la nostra società, servendoci di un'unica arma che è quella dell’amore reciproco. Dobbiamo essere capaci, quindi, di riconoscerci fratelli l’un l’altro, di essere solidali, di cogliere nel volto di chi incontriamo quello di Gesù Cristo, accogliendo e sostenendo con purezza di intenti. Di ritornare, in altre parole, a Dio e al prossimo. Solo così il seme di santità di Biagio Conte porterà frutti e il suo esempio di vita rimarrà “lampada per i passi” delle generazioni future. Pertanto concludo, con l’esortazione espressa da fratel Biagio, pochi giorni prima di morire: “Uniti tutti insieme per un mondo migliore”, con la speranza che ciascuno di noi riesca a comprendere il proprio ruolo nel mondo come costruttore di una società, che non lasci inascoltato il grido degli ultimi e degli esclusi.

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