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  • Mario Piazza

8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

MA È DAVVERO COSI’ IN TUTTO IL MONDO?



La data dell’8 marzo è ormai riconosciuta come giornata internazionale dedicata alla donna e alla riflessione sulle effettive conquiste sociali e politiche che il genere femminile è riuscito a concretizzare nel corso della storia a partire dall’inizio del Novecento. L ‘affermazione sociale delle donne e il pieno riconoscimento dei loro diritti civili continua a riguardare, però, ancora oggi solo la parte più evoluta del mondo, ossia l’Occidente. Esistono infatti, ai nostri giorni, Stati dove le donne lottano strenuamente per la tutela dei propri diritti e dimostrano di possedere un coraggio che le porta ad opporsi contro tutto e tutti per perseguire i propri ideali e i propri sogni. Primo fra questi l ‘Afghanistan in cui, a partire dall’ agosto del 2021 con la ritirata delle forze armate USA, le donne vivono una realtà repressiva ed inaccettabile, costrette al mero ruolo riproduttivo e ancor peggio a quello di schiave dei voleri dell’uomo, padre-padrone. A metà agosto 2021, infatti, il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dagli Stati Uniti è capitolato determinando l’infausto ritorno del regime talebano e un generale clima di incertezza per l’intera popolazione, di cui soprattutto le donne tuttora pagano le conseguenze. È vero che la loro condizione è stata per secoli molto difficile a causa di una cultura fortemente influenzata da una rigida interpretazione dell’etica islamica che le vuole completamente assoggettate agli uomini, ma con il ritiro delle truppe occidentali da Kabul ha avuto vita un clima di vero e proprio oscurantismo, caratterizzato dall’ imposizione di una serie di rigidi divieti. Le donne afghane, dopo aver assaporato la dolcezza dei valori democratici esportati dagli occidentali, che aveva consentito loro di conquistare importanti ruoli nel settore pubblico, hanno assistito a una dolorosa restrizione della libertà costrette ad avvolgere il loro corpo nel pesante tessuto del burqa, ad uscire di casa solo se accompagnate da un uomo della famiglia, a non guidare, a non prendere un taxi, a non parlare ad altri uomini, a non farsi scattare foto. Sono state, altresì, escluse dall’ istruzione secondaria e dalla frequenza di corsi universitari, sia come docenti che come studentesse. Sono state allontanate dal mondo del lavoro così come dal mondo dello sport. Il loro ruolo è stato in definitiva relegato solo dentro le mura domestiche. Ma, come ho sempre pensato, madrenatura ha dotato le donne di una forza straordinaria! Non mi riferisco tanto alla forza fisica ma a quella capacità di volare alto con animosità, di mostrarsi imperterrite nella difesa e tutela dei propri diritti aldilà degli ostacoli, delle restrizioni anche a rischio della propria vita. Il movimento attivista afghano del RAWA offre un esempio illuminante da non passare sotto silenzio. Si tratta di un’organizzazione socio-politica femminile con sede a Quetta, in Pakistan, che da oltre quarant’anni lavora in clandestinità il cui scopo principale è la lotta per la piena concretizzazione dei valori democratici tra cui il riconoscimento dei diritti delle donne.


La fondatrice, Meena Keshwar, uccisa nel 1987 dagli agenti afgani dell’allora K.G.B., ossia dei servizi segreti sovietici, svolse un ruolo di primo piano nella lotta per l’emancipazione femminile, nonché nella resistenza al colpo di stato organizzato dall’Unione Sovietica del 1978. Tale resistenza divenne poi nel 1992 più energica, anno della conquista di Kabul da parte dei talebani, sostenuti dai Russi durante il loro primo governo. Il loro lavoro clandestino si traduce nell’ organizzazione di corsi di alfabetizzazione per donne, di scuole per bambine e bambini, fondazioni di ospedali e ambulatori mobili, acquisendo il supporto di molti paesi simpatizzanti quali l’Italia, il Sudan e l’Iran. Anche il ricordo di Frozan Safi è assai vivo in Afghanistan. Attivista e docente universitaria di ventinove anni, è andata incontro ad una fine tragica nell‘ottobre del 2021 insieme ad altre quattro donne nei dintorni di Mazar-I-Sharif, capitale della provincia settentrionale di Balkh, in nome dell’uguaglianza dei diritti. Aveva partecipato alle manifestazioni in piazza a Mazar per la difesa del diritto a studiare e a lavorare delle afghane. La sua è stata la prima in ordine di tempo tra le morti di attiviste da quando i talebani hanno riconquistato il paese. Il suo corpo è stato ritrovato in una fossa crivellato da colpi di proiettili. Sarebbe stata tratta in trappola con una telefonata da numero anonimo in cui le si chiedeva di raccogliere le prove del suo attivismo e le si proponeva un espatrio in un luogo sicuro. Da mesi molte attiviste sono sparite nel nulla dalle strade di Kabul, altre vengono costrette al silenzio. Tamana Paryani, Parwana Ibrahim Khil, Mursal Ayar, Zahra Mohammadi, hanno provato ugualmente a protestare, manifestando contro l’obbligo di indossare il velo il 16 gennaio 2021. I talebani le hanno fatto immediatamente smettere, sparando spray al peperoncino, sequestrando i loro filmati e successivamente andando a sequestrarle dalle loro case con la forza. Di loro, così come di molte altre attiviste, non si hanno più avute notizie. Ogni parola in più costa veramente cara in Afghanistan! È necessario, pertanto, proprio nella ricorrenza della giornata delle donne, che la comunità internazionale non resti indifferente di fronte ai continui abusi e alle inammissibili sopraffazioni di cui ancora oggi il genere femminile è vittima, riconoscendo la gravità dell’emergenza umanitaria in Afghanistan. È urgente, pertanto, predisporre corridoi umanitari internazionali per mettere in salvo le donne afghane, accogliendone il grido di aiuto. L’Unione Europea deve agire rapidamente, utilizzando anche i canali diplomatici per proteggere quella parte di popolazione filo-occidentale e quindi più a rischio. Certo, è molto difficile predire il futuro in Afghanistan, dove la piena realizzazione della democrazia e dei diritti delle donne è un progetto arduo e difficile ma sono convinto che la resistenza clandestina femminile diventerà sempre più forte e nessuna tirannia e oppressione riuscirà a fermarla. Il sorriso nel volto delle donne è certamente emblema di speranza per la costruzione di un mondo migliore e quindi tutti noi dobbiamo impegnarci a non spegnerlo ma a renderlo sempre più radioso, attraverso il rispetto e il riconoscimento dell’uguaglianza di genere.

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